IL LAVORO DEL SOLE DI AGOSTO

3
Rapporto confidenziale a cura di Carmelo Romeo . 2019
arteideologia raccolta supplementi
made n.18 Dicembre 2019
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
4
pagina
Brani da Il caso e la necessità di Jacques Monod . 1970

Capitolo I . Oggetti strani , pgg. 26, 27,29

Tutto ciò induce a considerare un fatto molto importante che riguarda le relazioni esistenti fra le tre proprietà che abbiamo riconosciuto come caratteristiche degli esseri viventi: teleonomia, morfogenesi autonoma e invarianza. Il programma adottato le ha identificate in una certa sequenza e indipendentemente l’una dall’altra, ma ciò non prova che esse non siano semplicemente tre manifestazioni di una stessa e unica proprietà più fondamentale e nascosta, inaccessibile a qualsiasi indagine diretta. Se così fosse, potrebbe essere arbitrario e illusorio voler distinguere queste proprietà e cercare definizioni diverse. Lungi dal chiarire quelli che sono i vari problemi, non si farebbe che esorcizzare il ‘segreto della vita’ invece di individuarlo e di analizzarlo.
È vero che in tutti gli esseri viventi le tre proprietà sono strettamente connesse tra loro. L’invarianza genetica si esprime e si rivela unicamente attraverso e grazie alla morfogenesi autonoma della struttura che costituisce l’apparato teleonomico.
Ma qui si impone una prima osservazione: lo statuto di questi tre concetti non è lo stesso. Se l’invarianza e la teleonomia sono effettivamente ‘proprietà’ caratteristiche dei viventi, la strutturazione spontanea deve essere considerata piuttosto come un meccanismo.
Si vedrà d’altronde nei prossimi capitoli che tale meccanismo interviene sia nella riproduzione dell’informazione invariante, sia nella costruzione delle strutture teleonomiche.
Il fatto che, in definitiva, esso giustifichi ambedue queste proprietà non significa che si debba confonderle. Si può infatti, e bisogna, distinguerle dal punto di vista metodologico e ciò per molte ragioni.
1) Oggetti capaci di riproduzione invariante, ma sprovvisti di qualsiasi apparato teleonomico sono perlomeno concepibili: le strutture cristalline ne sono un esempio, sia pure a un livello di complessità molto inferiore rispetto a quello di tutti gli esseri viventi conosciuti.
2) La distinzione tra teleonomia e invarianza non è una semplice astrazione logica, ma è giustificata da considerazioni chimiche. Di fatto, delle due classi di macromolecole biologiche essenziali l’una, quella delle proteine, è responsabile di quasi tutte le strutture e prestazioni teleonomiche, mentre l’invarianza genetica si riferisce esclusivamente all’altra classe, quella degli acidi nucleici.
3) Infine, come si vedrà nel prossimo capitolo, questa distinzione è presente, più o meno esplicitamente, in tutte le teorie e in tutte le costruzioni ideologiche (religiose, scientifiche o metafisiche) che concernono la biosfera e i suoi rapporti con il resto dell’universo.
(26,27)….

… In uno dei prossimi capitoli si tenterà di dare un’idea della complessità, della raffinatezza e dell’efficacia del congegno chimico necessario alla realizzazione di questo progetto che esige la sintesi di parecchie centinaia di costituenti organici diversi, il loro aggregarsi in numerose migliaia di specie macromolecolari, la mobilizzazione e l’utilizzazione, quando ciò sia necessario, del potenziale chimico liberato attraverso l’ossidazione dello zucchero, la costruzione degli organelli cellulari. Non vi è tuttavia alcun paradosso fisico nella riproduzione invariante di tali strutture: il prezzo termodinamico dell’invarianza viene pagato esattamente, grazie alla perfezione dell’apparato teleonomico che, avaro di calorie, raggiunge nel suo compito infinitamente complesso un rendimento di rado eguagliato dalle macchine umane. Quest’apparato è del tutto logico, meravigliosamente razionale, perfettamente adatto al suo progetto: conservare e riprodurre la norma strutturale. E ciò senza trasgredire le leggi fisiche, ma anzi sfruttandole a tutto vantaggio della sua personale idiosincrasia. È l’esistenza stessa di un simile progetto, realizzato e perseguito a un tempo dall’apparato teleonomico, che costituisce il ‘miracolo’. Miracolo? No, il vero problema si pone a un altro livello, ben più profondo di quello delle leggi fisiche; è in gioco infatti la nostra comprensione, la nostra intuizione del fenomeno. Non vi è, in realtà, né paradosso né miracolo, ma una lampante contraddizione epistemologica. (29) 

Capitolo III . I diavoletti di Maxwell (un esperimento mentale) [1], p.56-58.

[…] Si può dunque ritenere che la formazione del complesso stereospecifico, che prelude all’atto catalitico, svolga contemporaneamente due funzioni:
1) la scelta esclusiva di un substrato, determinata dalla sua struttura sterica; 2) la presentazione del substrato secondo un preciso orientamento che limita e rende specifico l’effetto catalitico dei gruppi induttori.
Il concetto di complesso stereospecifico non covalente non si applica solo agli enzimi, né solo, come si vedrà, alle proteine. Esso ha un’importanza fondamentale nell’interpretazione di tutti i fenomeni di scelta, di discriminazione elettiva, che caratterizzano gli esseri viventi e danno l’impressione che essi sfuggano alla sorte prevista dal secondo principio della termodinamica. È interessante, a questo proposito, riconsiderare l’esempio della fumarasi.
Se si realizza l’amminazione dell’acido fumarico con i mezzi offerti dalla chimica organica, si ottiene un miscuglio dei due isomeri ottici dell’acido aspartico. Per contro, l’enzima catalizza esclusivamente la formazione di acido L-aspartico e, per questo fatto, porta in sé un’informazione che corrisponde esattamente a una scelta binaria (dato che vi sono due isomeri).
Si vede così, a un livello più elementare, come l’informazione strutturale possa essere creata e distribuita negli esseri viventi. Beninteso l’enzima possiede, nella struttura del suo recettore stereospecifico, l’informazione corrispondente a questa scelta ma l’energia necessaria ad
amplificarla non proviene da esso: per orientare la reazione secondo una sola delle due vie possibili, l’enzima deve utilizzare il potenziale chimico costituito dalla soluzione di acido fumarico. In ultima analisi, tutta l’attività sintetica delle cellule, per quanto complessa, è interpretabile negli stessi termini.
Questi fenomeni, che hanno del prodigioso per la loro complessità ed efficacia nel realizzare un programma prestabilito, suggeriscono evidentemente l’ipotesi che siano guidati da funzioni in qualche modo ‘conoscitive’, quelle funzioni che Maxwell attribuiva ai suoi microscopici diavoletti. Uno di questi, appostato all’orificio di comunicazione tra due scomparti pieni di un gas qualsiasi, manovrava senza alcun consumo di energia - secondo quanto si supponeva - uno sportello ideale che gli consentiva di impedire il passaggio di alcune molecole da uno scomparto all’altro. Esso poteva così ‘scegliere’ di far passare in un senso solo le molecole veloci (ad alta energia) e nell’altro solo quelle lente (a bassa energia). Ne risultava che, dei due scomparti, prima alla stessa temperatura, uno si riscaldava e l’altro si raffreddava, il tutto senza un apparente consumo di energia. Per quanto immaginario, quest’esperimento non mancò di rendere perplessi i fisici: sembrava ‘in effetti’ che il diavoletto, esercitando la sua funzione conoscitiva, avesse il potere di violare il secondo principio della termodinamica. E poiché tale funzione non era in apparenza misurabile, e neppure definibile dal punto di vista fisico, sembrava che il ‘paradosso’ di Maxwell dovesse sfuggire a qualsiasi analisi di tipo operativo.
La chiave del paradosso fu trovata invece da Leon Brillouin, ispiratosi a un precedente lavoro di Szilard: egli dimostrò che il diavoletto, nell’esercizio delle sue funzioni conoscitive, doveva necessariamente consumare una certa quantità di energia la quale, nel bilancio dell’operazione, compensava esattamente la diminuzione di entropia del sistema. In effetti, perché il diavoletto possa chiudere lo sportello ‘con cognizione di causa’ bisogna che abbia misurato prima la velocità di ogni particella di gas. Ma qualsiasi misurazione, cioè qualsiasi acquisizione di informazione, presuppone un’interazione che di per sé consuma energia. >

Questo celebre teorema è una delle fonti da cui sono derivate le concezioni moderne sull’equivalenza tra informazione e entropia negativa. Esso ci interessa qui per il fatto che, in scala microscopica, gli enzimi hanno proprio una funzione creatrice di ordine. Ma questa creazione di ordine, come si è visto, non è gratuita; essa si verifica a spese di un consumo di potenziale chimico.
Gli enzimi, in definitiva, funzionano esattamente come il diavoletto di Maxwell riveduto e corretto da Szilard e Brillouin, incanalando il potenziale chimico nelle vie scelte [2] dal programma di cui essi sono gli esecutori.
Ricordiamo il concetto fondamentale sviluppato in questo capitolo: grazie alla loro capacità di formare con altre molecole complessi stereospecifici e non covalenti, le proteine esercitano le loro funzioni ‘diaboliche’. I prossimi capitoli illustreranno l’importanza fondamentale di questo concetto chiave che si ritroverà come interpretazione ultima delle proprietà più distintive degli esseri viventi. (56-58) 

Capitolo VI . Invarianza e perturbazioni (p.98)

[…]… la Biologia moderna riconosce, al contrario, che tutte le proprietà degli esseri viventi si basano su un meccanismo fondamentale di conservazione molecolare.
Per la teoria del giorno d’oggi l’evoluzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi, in quanto ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del meccanismo conservatore che, invece, rappresenta il loro unico privilegio. Si deve dire quindi che la stessa fonte di perturbazione, di ‘rumore’ che, in un sistema non vivente, cioè non replicativo, abolirebbe a poco a poco ogni struttura [3], è all’origine dell’evoluzione nella biosfera e giustifica la sua totale libertà creatrice, grazie a questo ‘conservatorio’ del caso - la struttura replicativa del DNA - sordo sia al rumore sia alla musica. (98)

Capitolo VII . L’evoluzione (p.99,100)

Gli eventi iniziali elementari, che schiudono la via dell’evoluzione ai sistemi profondamente conservatori rappresentati dagli esseri viventi sono microscopici, fortuiti e senza alcun rapporto con gli effetti che possono produrre nelle funzioni teleonomiche.
Ma una volta inscritto nella struttura del DNA , l’avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari. Uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè a livello dell’organismo.
Ancora oggi molte persone d’ingegno non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera. In effetti, la selezione agisce sui prodotti del caso e non può alimentarsi altrimenti; essa opera però in un campo di necessità rigorose da cui il caso è bandito.
Da queste necessità, e non dal caso, l’evoluzione ha tratto i suoi orientamenti generalmente ascendenti, le sue successive conquiste, il dipanarsi ordinato di cui offre apparentemente l’immagine.
D’altra parte alcuni evoluzionisti post-darwiniani hanno avuto la tendenza di diffondere un’idea impoverita, ingenuamente feroce, della selezione naturale, cioè quella della pura e semplice ‘lotta per la vita’, espressione che d’altronde non fu introdotta da Darwin bensì da Spencer. I neo-darwinisti del primo Novecento ne hanno proposto invece una visione molto più feconda, dimostrando, sulla base di teorie quantitative, che il fattore decisivo della selezione non è costituito dalla lotta per la vita, ma dal tasso differenziale di riproduzione in seno a una specie.
I dati forniti dalla Biologia contemporanea consentono di chiarire e di precisare ulteriormente il concetto di selezione.
In particolare, noi abbiamo, della potenza, della complessità e della coerenza della cibernetica intracellulare (perfino negli organismi più semplici) un’idea abbastanza chiara, un tempo sconosciuta, che ci consente di comprendere molto meglio di prima che ogni ‘novità’ sotto forma di alterazione di una struttura proteica, verrà innanzitutto saggiata riguardo la sua compatibilità con l’insieme di un sistema già assoggettato a innumerevoli vincoli che controllano l’esecuzione del progetto dell’organismo. Le sole mutazioni accettabili sono dunque quelle che perlomeno non riducono la coerenza dell’apparato teleonomico ma piuttosto lo raf-forzano ulteriormente nell’orientamento già adottato oppure, certo molto più raramente, lo arricchiscono di nuove possibilità.
È l’apparato teleonomico, proprio come funziona nell’attimo in cui per la prima volta si esprime una mutazione, che definisce le condizioni iniziali essenziali per l’accettazione, temporanea o definitiva, oppure per il rifiuto del tentativo nato dal caso. È proprio la prestazione teleonomica, espressione globale delle proprietà della rete d’interazioni costruttive e regolatrici, a essere giudicata dalla selezione. Ed è per questo motivo che l’evoluzione stessa sembra realizzare un ‘progetto’, quello di prolungare e dare un maggior respiro a un ‘sogno’ ancestrale.
Grazie alla perfezione conservatrice dell’apparato replicativo, ogni mutazione, individualmente, costituisce un avvenimento molto raro. …. (99,100)
pagina


[1] . Il diavoletto di Maxwell è un esperimento mentale ideato da James Clerk Maxwell circa la possibilità teorica di un congegno capace di agire a scala microscopica su singole particelle allo scopo di produrre una violazione macroscopica del secondo principio della termodinamica. In questo modo potrebbe produrre una variazione di temperatura tra due corpi senza alcuna spesa di energia: «..se concepiamo un essere con una vista così acuta da poter seguire ogni molecola nel suo movimento, tale essere, i cui attributi sono essenzialmente finiti quanto i nostri, potrebbe fare ciò che è impossibile per noi» (James Clerk Maxwell).
[2] . “…scelte dal programma !? ”…. cioè scelte da un super-diavoletto di Maxwell…?... Da esperimento mentale a esperimento mentale al quadrato…. !
[3] . E’ un punto interessante da tener presente: nei sistemi non-viventi è la mancanza della proprietà di autoreplicazione strutturante a stabilizzare-mineralizzare definitivamente il loro modo di essere. E’ certamente un modo tautologico per definirli nella loro non-vita. Ma è per considerare che solo interventi esterni – come l’azione meccanica su di loro di elementi e fenomeni naturali, compresi ovviamente gli organismi stessi – possono produrre delle modifiche della loro struttura, sciogliendone i legami o stabilendone altri - sotto l’azione dell’acqua, del calore… o anche sotto quella dell’industria dell’uomo - come per le leghe metalliche… o (l’exaptation?) di sostanze attuali come la gomma greggia o remote come il petrolio… ).